Cassa Integrazione con causale Covid 19: legittima solo per le aziende che non riescono a garantire la regolarità produttiva

Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 30 giugno 2021, ha affermato, con riferimento alla Cassa Integrazione con la causale Covid 19, che la ratio dello strumento si giustifica in ragione del mantenimento dei posti di lavoro durante periodi di difficoltà aziendale e non può prestarsi all’utilizzo da parte di società che vogliano servirsene per massimizzare i profitti senza che siano state colpite da effettive criticità nella regolarità della produzione.

Trib. Roma, sez. IV – L, ord., 30 giugno 2021

Giudice Casari

Fatto e diritto

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. ritualmente notificato, (omissis)ha chiesto: “a) accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento della (omissis) del 9.04.2021 con il quale si è disposta la sospensione della prestazione lavorativa del sig. (omissis) con collocamento in C.I.G.O. con causale Covid-19 ad ore zero con decorrenza dal 12.04.2021 per tredici settimane b) e per l’effetto, ordinare alla Società resistente di riammettere in servizio il ricorrente presso la propria sede di lavoro con le mansioni assegnategli; c) condannare la Società convenuta: c.1) al pagamento delle differenze retributive e contributive relative alla mensilità di aprile 2021, tenendo conto della retribuzione mensile lorda di € 3.157,54, nonché al pagamento integrale delle mensilità successivamente maturate ed al versamento dei relativi contributi previdenziali fino alla revoca del provvedimento di collocamento in C.I.G.O.; c.2) al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale all’immagine ed alla professionalità, da quantificarsi in via equitativa in misura non inferiore alla retribuzione globale di fatto mensile per ciascun mese di illegittima sospensione della prestazione lavorativa. Con vittoria di competenze e spese di giudizio.” A sostegno della domanda cautelare il ricorrente ha addotto l’illegittimità del detto provvedimento di collocamento in C.I.G.O. a zero ore con causale Covid-19, in quanto adottato in mancanza dei presupposti legali per l’utilizzazione dell’indicato ammortizzatore sociale. In particolare, secondo lo stesso, la misura della C.I.G.O. sarebbe stata impropriamente utilizzata dall’azienda nei suoi confronti non già per far fronte ad eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, o, tenuto conto dell’art.19 del decreto Covid n. 18/2020, per permettere al datore di lavoro operante sul territorio nazionale che ha dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di fronteggiare l’emergenza sanitaria, bensì a mero fine ritorsivo e comunque per attuare politiche di riorganizzazione aziendale – dettate da ragioni di convenienza economica – nell’impossibilità di procedere al suo licenziamento in considerazione della normativa emergenziale vigente. Il ricorrente ha quindi lamentato che, nel tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, lo stesso possa subire un pregiudizio imminente e irreparabile, in considerazione della drastica riduzione in atto della retribuzione a lui contrattualmente spettante, nonché del danno alla sua professionalità derivante dalla sospensione dalla prestazione lavorativa. La resistente si è costituita in giudizio con memoria difensiva del 22 giugno 2021 ed ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e/o comunque infondato. In particolare, ha eccepito: a) l’incompetenza territoriale di questo Tribunale ai sensi dell’art. 413 c.p.c. in quanto la resistente non avrebbe a Roma alcuna sede né una propria dipendenza presso la quale fosse addetto il lavoratore ricorrente; b) l’inammissibilità del ricorso in considerazione della mancata indicazione, nello stesso, della domanda di merito che il ricorrente intenda far valere; c) l’insussistenza del periculum in mora, sia sotto il profilo della mancata allegazione e/o prova di concreti elementi a supporto della sussistenza di un pregiudizio imminente e irreparabile, sia in considerazione delle proposte di ricollocazione dall’azienda avanzate al lavoratore; d) l’infondatezza nel merito del ricorso, in considerazione dell’asserita legittimità del provvedimento con il quale il ricorrente è stato collocato in C.I.G.O., in quanto, secondo la resistente, la normativa di cui all’art. 19 del decreto Covid n. 18/2020 permetterebbe di avvalersi dell’ammortizzatore sociale in oggetto anche in caso di mera riorganizzazione aziendale, e pur in assenza di fattori idonei a comprimere i volumi d’affari della società. L’INPS si costituiva in giudizio manifestando la propria posizione neutra di “attesa” rispetto all’accertamento oggetto di domanda. 1. Preliminarmente è necessario affrontare la questione riguardante la competenza Tribunale. Nello specifico, (omissis) adduce, a sostegno della sollevata eccezione di incompetenza, che la stessa non ha sede a Roma, né è presente sul territorio una propria dipendenza, con conseguente incompetenza, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., del giudice adito. L’eccezione non può essere accolta. Come contrattualmente stabilito, infatti, sede di lavoro del ricorrente è la città di Roma. In tale luogo, dunque, è indiscusso fossero dislocati i beni facenti parte del complesso aziendale (tra i quali un personal computer portatile, un’autovettura aziendale, la multicard Agip e un apparato Telepass) che al ricorrente erano stati assegnati dalla (omissis) per lo svolgimento delle sue mansioni. E’ quindi evidente che a Roma fosse situato parte del complesso aziendale della resistente, con conseguente necessità di ritenere ivi sussistente una dipendenza dell’azienda ai sensi dell’art. 413 c.p.c. In tal senso la giurisprudenza di legittimità che ha più volte affermato la necessita di una nozione di dipendenza aziendale, che non solo non coincide con quello di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis mirante a favorire il radicamento del foro speciale nel luogo della prestazione lavorativa. In questo senso, tra l’altro, è stato affermato che: “Condizione minima, ma sufficiente a tal fine, è [–] che l’azienda disponga in quel luogo di un nucleo di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, cioè destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali, “anche se modesto e di esigue dimensioni”; è sufficiente che in tale nucleo operi anche un solo dipendente e non è necessario che i relativi locali e le relative attrezzature siano di proprietà aziendale, ben potendo essere di proprietà del lavoratore stesso o di terzi…Ancor più consistente è la convergenza nelle soluzioni in concreto adottate: si è ritenuta sussistente la “dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore” anche nella residenza del lavoratore quando questi svolga l’attività lavorativa in tale luogo, avvalendosi di strumenti destinati all’attività aziendale, individuati in genere in un “computer” collegato con l’azienda e nei relativi strumenti di supporto.” (Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 04-04-2013) 15-07-2013, n. 17347; ex plurimis Cass. civ. Sez. VI – Lavoro Ord., 03/03/2021, n. 5726). Per le ragioni esposte, va dunque rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale di questo Giudice avanzata dalla resistente. 2. La (omissis) ancora, chiede dichiararsi inammissibile e/o nullo il ricorso in quanto privo della indicazione della domanda che il ricorrente intenda proporre nell’eventuale giudizio di merito. Anche tale eccezione non può essere accolta. Infatti, ciò che rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. non è il dato formale della espressa indicazione, nello stesso, della futura – ed eventuale – domanda di merito che si intenda proporre, quanto, più correttamente, il fatto che il ricorso possa dirsi comunque strumentale, in funzione cautelativa, rispetto alla tutela di un diritto azionabile in via ordinaria. A tal fine, non è dunque necessario che nel ricorso vengano espressamente indicate le domande e le conclusioni della futura eventuale causa di merito, essendo invece sufficiente che dal tenore letterale dello stesso sia desumibile il contenuto del futuro ed eventuale giudizio di merito (ex plurimis Tribunale Torino Sez. Ili Ord., 07/05/2007). Ebbene, nel caso di specie, tale contenuto è chiaramente desumibile, non potendo che vertere il futuro ed eventuale giudizio di merito sulla legittimità del provvedimento di collocamento in C.I.G.O. oggetto del presente procedimento. Per le ragioni esposte, anche tale eccezione dev’essere rigettata. 3. Nel merito, il ricorso è parzialmente fondato. 3.1. In particolare, con riferimento al requisito del fumus boni iuris – consistente, come noto, nella parvente fondatezza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela – va rilevato che, dalla lettura degli atti della presente fase, caratterizzata da una cognizione necessariamente sommaria, appare verosimile l’illegittimità del provvedimento della (omissis) del 9.04.2021 con il quale è stata disposta la sospensione della prestazione lavorativa del ricorrente con contestuale collocamento dello stesso in C.I.G.O. con causale Covid-19 ad ore zero. Valgano, al riguardo, le seguenti considerazioni. L’istituto dell’integrazione salariale ordinaria (C.I.G.O.) integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori a cui è stata sospesa o ridotta l’attività lavorativa per situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti. Più nello specifico, il Decreto del Ministro Del Lavoro c delle Politiche Sociali n. 95442 del 15 aprile 2016 prevede che la C.I.G.O. è concessa per le seguenti causali: a) situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali; b) situazioni temporanee di mercato. Ancora, per facilitare la concessione dell’integrazione salariale ordinaria in situazioni comunque assimilabili a quelle sopra menzionate è intervenuto, come misura atta a fronteggiare le difficoltà economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica, il decreto legge n. 18 del 2020, il quale, all’art. 19, prevede che “i datori di lavoro che […] sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale”. Dalla normativa riportata, dunque, si ricava che la C.I.G.O. può essere concessa esclusivamente in situazioni in cui vi sia una oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione della propria attività produttiva. Ebbene, tale situazione non è rinvenibile nel caso di specie, dal momento che la società resistente, come si legge nella comunicazione del 31 marzo 2021 da lei indirizzata a tutto il personale dipendente (doc. 8 fascicolo resistente), non ha subito, durante il periodo di emergenza epidemiologica da COVID 19, alcuna compressione della propria attività produttiva, arrivando persino ad affermare esplicitamente di aver avuto “performance di gran lunga migliori di quelle che ha fatto il mercato”. Né in comparsa è in qualche modo contestata l’inesistenza di sopravvenute difficoltà economiche. Vero è invece che, come si legge anche nella memoria difensiva, il provvedimento di collocamento in cassa integrazione adottato dalla resistente è stato in realtà funzionale a consentire alla società di liberarsi dall’obbligazione remunerativa nei confronti del ricorrente, nell’impossibilità legale di procedere al suo licenziamento, riuscendo così nell’intento di realizzare la varata riorganizzazione aziendale che prevedeva appunto la soppressione della posizione lavorativa del (omissis) . Tuttavia, la predetta finalità, oltre che col tenore letterale delle disposizioni sopra riportate, contrasta anche con la ratio della Cassa Integrazione la quale, sovvenzionata dalla collettività a fini solidaristici, lungi dall’essere uno strumento di supporto alle aziende per fini di massimizzazione economica, si giustifica in ragione del mantenimento dei posti di lavoro durante periodi di difficoltà aziendale. Né può essere vagliata in questa sede la questione di legittimità costituzionale della normativa analizzata – in combinato disposto con quella che disciplina il blocco dei licenziamenti – sollevata dalla resistente, dal momento che tale fase cautelare, caratterizzata da una sua spiccata celerità, mal si concilia con la proposizione di un giudizio di legittimità costituzionale, il quale comporterebbe un’intollerabile sospensione del procedimento. Per le ragioni esposte, il provvedimento del 9 aprile 2021 (doc. 17 fascicolo ricorrente) con il quale la (omissis) collocava il ricorrente in Cassa integrazione a zero ore deve considerarsi all’esito di vaglio sommario, illegittimo. 3.2. Passando adesso all’ulteriore elemento necessario per l’accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., rappresentato dal periculum in mora – ossia dal fondato timore che, nel tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, quest’ultimo sia minacciato da un danno grave e irreparabile -, va osservato che l’istante è inquadrato al VII livello CCNL Metalmeccanica – Aziende Industriali cui appartengono coloro che possiedono notevole esperienza acquisita a seguito di prolungato esercizio delle funzioni, siano preposti ad attività di coordinamento di servizi, uffici, enti produttivi, fondamentali dell’azienda o che svolgono attività di alta specializzazione ed importanza ai fini dello sviluppo e della realizzazione degli obiettivi aziendali. E’ quindi corretto affermare che la sospensione del ricorrente dalla propria qualificata attività lavorativa, che, come precisato dal CCNL, fonda il proprio elevato profilo su “prolungato esercizio delle funzioni”, sia idonea ad ingenerare danno alla professionalità dell’istante, pregiudizio imminente ed insuscettibile per sua natura di integrale risarcimento per equivalente (si pensi alla proiezione del danno sulle future possibilità occupazionali del ricorrente anche presso terzi), circostanza che giustifica, appunto, una tutela in via d’urgenza. Inoltre, l’esiguità dell’integrazione salariale ad oggi anticipata al ricorrente in luogo della cospicua retribuzione precedentemente in godimento (attualmente all’istante viene riconosciuta integrazione salariale pari ad € 1.199,72, pari al 38% del compenso precedentemente goduto nell’incontestata misura mensile lorda pari ad € 3.157,54), appare all’evidenza significativamente incidere sui mezzi di sostentamento del lavoratore, e, per tale ragione, deve ritenersi idonea a compromettere la sua situazione personale e familiare, configurandosi dunque quale fonte di un pregiudizio irreparabile. Inidonee a far venir meno il requisito del periculum in mora sono altresì le proposte di ricollocamento avanzate dalla (omissis) al ricorrente. Le stesse, infatti, neppure specificano il momento a partire del quale opererebbe la nuova assegnazione, con ciò non eliminando il pericolo che il ricorrente continui, medio tempore, a subire irreparabili pregiudizi alla propria sfera personale e patrimoniale. Non può non rilevarsi infine come la seconda proposta formulata dalla (omissis) sia stata avanzata soltanto il 22 giugno 2021, appena un giorno prima dell’udienza di discussione del presente procedimento cautelare. Coincidenza temporale che, unitamente all’accennata genericità della proposta con riferimento al periodo temporale di operatività della nuova assegnazione, è idonea a far sorgere il sospetto che la stessa sia stata strumentalmente formulata al solo fine di disinnescare le argomentazioni avversarie poste a fondamento dell’attualità del periculum. 3.3. Infine, non può essere accolta in sede cautelare la richiesta del ricorrente avente ad oggetto la condanna della resistente al pagamento, in suo favore, di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale all’immagine ed alla professionalità, in quanto da un lato la dichiarazione di illegittimità della sospensione dal lavoro appare di per sè idonea ad evitare il lamentato pregiudizio e dall’altro, essendo il risarcimento rimedio di natura patrimoniale e come tale differibile. 4. Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza e vengono refuse a favore del ricorrente, il quale ha visto accogliere in buona parte le domande avanzate, e dall’INPS, opportunamente convenuto in giudizio quale soggetto indirettamente interessato agli accertamenti oggetto di domanda in qualità di ente erogatore dell’intervento di integrazione salariale nonché soggetto creditore dei contributi omessi sulle retribuzioni dovute dall’aprile 2021.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, 1) dichiara l’illegittimità del provvedimento della (omissis) del 9.04.2021 con il quale è stata disposta la sospensione della prestazione lavorativa del sig. (omissis) con collocamento in C.I.G.O. – causale Covid-19 ad ore zero con decorrenza dal 12.04.2021 per tredici settimane; 2) per l’effetto, ordina alla (omissis) di riammettere in servizio (omissis) presso la propria sede di lavoro con le mansioni assegnategli e la condanna al versamento in suo favore delle differenze retributive relative alla mensilità di aprile 2021, tenendo conto della retribuzione mensile lorda di € 3.157,54, nonché al pagamento integrale delle mensilità successivamente maturate, oltre versamento dei contributi previdenziali omessi; 3) condanna la (omissis) alla rifusione delle spese di lite in favore di (omissis) che liquida in € 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA; 4) condanna la (omissis) alla refusione delle spese di lite in favore dell’INPS liquidate in € 1.500,00 oltre al rimborso forfettario delle spese generali IVA e CPA.

 

Di seguito il link per il testo integrale dell’ordinanza

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