I controlli difensivi in senso stretto del datore di lavoro.

Il datore di lavoro può attuare forme di controllo nei confronti dei lavoratori?

Per dare risposta ad un quesito così complesso occorre partire dagli scopi dei controlli.

Il riferimento normativo, innanzitutto, è l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300 del 20 maggio 1970).

In sintesi, l’articolo (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo) prevede oggi che l’installazione di dispositivi che consentano il controllo anche indiretto del prestatore di lavoro sia preceduta da un accordo sindacale o dall’autorizzazione dell’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro).

L’art. 4 è stato oggetto di una profonda modifica da parte dell’art. 23 del D.lgs. n. 151 del 2015.

Non è più presente, dopo le modifiche, l’esplicito divieto di controllo a distanza della prestazione lavorativa; in luogo del divieto, sono state individuate le condizioni e finalità per le quali è permesso l’utilizzo degli  strumenti che consentono un tale controllo.

Non tutti i controlli difensivi del datore di lavoro, tuttavia, presuppongono l’ottenimento dei permessi di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Soggiacciono sicuramente alla necessaria previa autorizzazione le tipologie di controllo difensivo in senso lato.

Si tratta degli strumenti che permettono al datore di lavoro di monitorare il patrimonio aziendale (ad esempio materie prime, prodotti, strumenti e strutture, et cetera) acquisendo indirettamente dati ed informazioni sull’attività dei dipendenti.

Non vi è però solo l’esigenza di salvaguardare i beni aziendali in un contesto di normalità lavorativa.

Può infatti accadere che il datore di lavoro abbia la necessità, chiaramente sulla base di indizi concreti, di individuare condotte illecite ascrivibili ad un dipendente.  Condotte che possono realizzarsi sia  durante la prestazione di lavoro (pensiamo ad un furto o alla sottrazione di dati aziendali) sia al di fuori (l’esempio più calzante è quello dell’abuso dei permessi ex art. 33 comma 3 della Legge 104 del 5 febbraio 1992).

È stata coniata allora, dalla giurisprudenza, la fattispecie dei controlli difensivi in senso stretto.

Anche questi ultimi, incontrano, in ogni caso, dei limiti.

Il datore di lavoro non può attuarli in maniera indiscriminata e senza il rispetto di regole (anche di correttezza e di buona fede).

Perché il controllo difensivo in senso stretto sia legittimo, in giudizio il datore di lavoro dovrà provare quanto segue.

In primo luogo, l’azienda deve dimostrare i motivi che l’hanno indotta a porre in essere il controllo.

Per la giurisprudenza di legittimità debbono essere idonei ad integrare un “fondato sospetto”, tale allorquando è basato su “indizi materiali e riconoscibili, non espressione di un puro convincimento soggettivo” circa la commissione dell’illecito da parte del lavoratore.

Assume rilevanza cruciale, poi, anche la collocazione temporale delle predette circostanze di fatto: il datore di lavoro deve provare di aver effettuato il controllo solo ex post, vale a dire successivamente all’insorgenza del “fondato sospetto”.

Infine, deve assicurarsi un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e le tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore.

Il controllo deve essere infatti rispettoso della disciplina in materia di privacy.

Se dunque, il datore di lavoro non prova quanto sopra, il controllo difensivo in senso stretto è illegittimo, con conseguente inutilizzabilità dei dati acquisiti.

Tali principi sono ben enucleati dalla Sentenza della Corte di Cassazione n. 18168 del 26 giugno 2023:

Cassazione Civile Sezione Lavoro Sentenza n. 18168 del 26.06.2023

È senz’altro da segnalare, sempre in tema di controlli difensivi, una sentenza del Tribunale di Imperia, ancor più recente, in cui si ribadisce la necessità che i controlli siano svolti dopo l’insorgenza del sospetto della commissione di illeciti da parte del dipendente:

Tribunale Imperia Sezione Lavoro Sentenza 11.09.2023