Dal 41 bis ai regimi di semilibertà: quando possono lavorare i detenuti e che incentivi hanno le aziende che li assumono

Con l’arresto dopo trent’anni di latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, si è tornati a parlare in Italia del Regime carcerario 41 bis. Traendo spunto dalle riflessioni che si sono susseguite per giorni sul tema, si può tornare anche a parlare della correlazione tra il reinserimento in ambito lavorativo del detenuto e la funzione rieducativa della pena.

Il Regime 41 bis, tanto per cominciare, limita fortemente le attività che questi possono svolgere all’interno del carcere, oltre a prevedere un periodo di isolamento iniziale. Si tratta di una normativa volta a limitare i contatti con l’esterno, sia attraverso i colloqui con i parenti, sia con altre persone detenute.

Al contempo però, è importante ricordare anche che la Legge 663/1986, che ha introdotto il 41 bis, prevede anche la possibilità per i detenuti di svolgere attività lavorative. Tali attività sono vitali per il rieducare i detenuti, in quanto essi devono sentirsi responsabili delle loro azioni e imparare a gestire i loro tempi. La possibilità di lavorare all’interno, ma anche all’esterno del carcere è quindi un modo per affrontare la detenzione con maggiore dignità e permette di mantenere contatti con l’esterno, con i famigliari e con le organizzazioni esterne.

Inoltre, attraverso il lavoro i detenuti possono sperimentare un senso di appartenenza e sentirsi parte della società. Questo li aiuta a prendere coscienza dei propri limiti e dei propri errori, e a riconoscere il valore di un lavoro onesto. Il lavoro, quindi, può aiutare i detenuti a rieducarsi, anche in regime di 41 bis, e a riflettere sui propri errori, in modo da avere la possibilità di una nuova vita

I detenuti che lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria hanno diritto ad una retribuzione pari ai 2/3 di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Tuttavia, con l’entrata in vigore dei d.lgs. 123 e 124 del 2018, sono state introdotte nuove disposizioni che prevedono una valorizzazione della produzione per autoconsumo. In questo caso, le direzioni degli istituti penitenziari possono vendere i prodotti delle lavorazioni penitenziarie e rendere servizi a prezzo pari o anche inferiore al loro costo.

Ai detenuti è riconosciuto il diritto alla Naspi (assegno di disoccupazione) a seguito delle riforme introdotte dal decreto legislativo 22/15. L’articolo 20 della Legge 354/75 garantisce ai detenuti la tutela assicurativa e previdenziale senza limitazioni, inclusa quella contro la disoccupazione involontaria. Per quest’ultima, l’amministrazione pubblica ha l’obbligo di versare i contributi previdenziali corrispondenti. Inoltre, l’articolo 20 dell’Ordinamento Penitenziario prevede che i detenuti possano prestare lavoro solo quando ci sono delle posizioni disponibili, rendendo possibile la disoccupazione involontaria.

Il Decreto Ministeriale n. 148/14 ha previsto, invece, un credito d’imposta per le imprese che assumano detenuti o internati, sia in stato di semilibertà che nel possesso di permessi di lavoro esterno, pari a 520€ mensili per detenuti, e 300€ mensili per internati. Per poter beneficiare di questo credito, le imprese devono stipulare una convenzione con la direzione dell’istituto penitenziario in cui è reclusa la persona da assumere, e assicurare un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai Ccnl. Il credito spetta per ciascun lavoratore a tempo pieno nei limiti del costo effettivamente sostenuto, e comunque in misura proporzionale alle giornate di lavoro prestate, con un massimale annuo di 250.000€.

Il credito d’imposta previsto dal D.M. n. 148/14 può essere utilizzato con il codice tributo 6858 per il versamento in F24, ed è esente da Ires e Irap. Per usufruirne, le imprese devono inviare un’istanza all’istituto penitenziario entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello in cui chiedono la fruizione. In aggiunta al credito d’imposta, le imprese possono anche beneficiare di sgravi contributivi pari al 95% sia a carico della ditta che del dipendente, sulla base di una rendicontazione effettuata all’INPS, nel rispetto delle risorse stanziate.

Avvocato Ester Cattaneo