Trasferimento del lavoratore per incompatibilità ambientale: quando è legittimo?
Per comprendere cosa sia il trasferimento per incompatibilità ambientale occorre prima riferirsi alla disciplina codicistica in materia.
L’art. 2103 del codice civile disciplina il trasferimento del lavoratore, che il datore di lavoro può disporre unilateralmente al ricorrere di determinate condizioni e se motivato da ragioni tecniche, organizzative e produttive.
I motivi di carattere organizzativo possono riferirsi anche alla persona del lavoratore.
È il caso appunto del trasferimento per incompatibilità ambientale, che si rivela necessario quando la presenza del dipendente in una determinata unità locale generi attriti con gli altri colleghi e crei, a livello organizzativo, disfunzioni e problematiche.
Il provvedimento prescinde dai profili di responsabilità del lavoratore e non prevede le garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1970-05-20;300!vig=2023-10-21).
Si tratta del resto di una decisione in capo al datore di lavoro improntata al principio di libertà imprenditoriale di cui all’art. 41 della Costituzione e soggetto ai limiti dell’art. 2103 del codice civile.
Ma quali sono questi limiti?
Una recente sentenza di merito del Tribunale di Nola, in modo lineare ed esaustivo, ripercorre quali siano gli aspetti da prendere in considerazione per valutare la legittimità del provvedimento.
La scelta datoriale, anche se non deve rivestire il carattere dell’inevitabilità, deve essere supportata dalla prova che la permanenza del lavoratore nella sede attuale sia foriera di criticità e disagi organizzativi.
Nel caso di specie l’azienda non ha saputo motivare, se non genericamente, i rischi derivanti dalla prosecuzione dell’attività lavorativa del soggetto interessato nella sede originaria.
Il Tribunale ha pertanto dichiarato illegittimo il trasferimento.