Il ruolo degli usi aziendali nel rapporto di lavoro
Nel mondo del lavoro, le aziende possono concedere ai propri dipendenti benefici aggiuntivi, quali premi di produttività, gratificazioni, polizze sanitarie o assicurative, riduzioni d’orario, riconoscimenti di festività aggiuntive e altre forme di incentivazione. Questi benefici, noti come usi aziendali, sono spesso concessi in un’ottica attrattiva per i dipendenti, al fine di scoraggiare il passaggio ad altre aziende.
Tuttavia, in tempi di crisi, gli imprenditori potrebbero tentare di recuperare o sopprimere questi benefici, spinti dalla necessità di ridurre il costo del lavoro e di mantenersi competitivi sul mercato. In questo contesto, sorge la questione della legittimità dei tentativi di revoca unilaterale e della possibilità di dismettere i trattamenti più favorevoli solo a seguito di contrattazioni aziendali che espressamente ne prevedano la caducazione esplicita.
Per rispondere a queste domande, è necessario delineare i vari orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si sono succeduti nel tempo in tema di usi aziendali. In particolare, la continuità dei benefici addizionali fondata sugli usi aziendali presuppone la spontaneità del comportamento datoriale, la reiterazione del comportamento nel tempo e la persistenza o invarianza dell’assetto normativo positivo o delle condizioni organizzative aziendali che hanno determinato la concessione liberale.
In passato, la Cassazione ha ricondotto i benefici al carattere negoziale interindividuale degli usi aziendali, riconducibili all’articolo 1340 del codice civile. Tuttavia, questo orientamento è stato successivamente abbandonato.
La giurisprudenza, in generale, ha infatti identificato quattro orientamenti in merito alla questione.
Il primo orientamento afferma che l’uso aziendale costituisce un obbligo unilaterale del datore di lavoro avente carattere collettivo e ha la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale sui singoli rapporti individuali di lavoro. In tale ipotesi, l’eliminazione del trattamento di maggior favore introdotto con l’uso può essere derogata da fonti collettive sopravvenute.
Per il secondo orientamento, l’uso aziendale deve essere considerato come una clausola d’uso e può essere inserito automaticamente nel contratto individuale di lavoro, derogando in senso migliorativo la disciplina collettiva. In questo caso, l’esclusione dell’uso potrebbe avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti.
Alcune pronunce giurisprudenziali hanno poi affermato che in alcune ipotesi la derogabilità dell’uso può avvenire anche in forza di una manifestazione di volontà unilaterale del datore di lavoro. Egli può eliminare unilateralmente i benefici derivanti dalla prassi aziendale con riferimento ai lavoratori da assumere, facendo però salvi i diritti dei lavoratori che già beneficiano della prassi aziendale, o ai lavoratori che siano da tempo assoggettati alla prassi nell’ipotesi in cui sia intervenuta una modificazione dell’organizzazione del lavoro che abbia fatto venir meno il presupposto sul quale si fondava il diritto riconosciuto in forza della prassi.
Infine, una giurisprudenza più risalente e minoritaria afferma che l’uso aziendale sarebbe comunque sostituibile attraverso un uso aziendale successivo (anche se peggiorativo), fatta salva una diversa manifestazione di volontà delle parti.
Avvocato Ester Cattaneo