Molestie sessuali e onere della prova
Delle molestie sessuali subite sul posto di lavoro occorre dare prova, anche presuntiva.
Il Codice delle Pari Opportunità prevede infatti non un’inversione dell’onere della prova ma un “alleggerimento” della stessa, che resta a carico di chi chieda l’accertamento di una discriminazione, di una molestia o di una molestia sessuale.
Per l’art. 40 del Decreto Legislativo n. 198 dell’11 aprile 2026, precisamente, deve indicare elementi di fatto, desunti anche per via statistica, “idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione
dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in
ragione del sesso” (https://www.normattiva.it/eli/id/2006/05/31/006G0216/CONSOLIDATED/20231022).
Solo soddisfatto tale onere in capo al ricorrente spetterà al convenuto (al datore di lavoro ovvero all’autore della discriminazione) provare l’insussistenza della discriminazione.
Sulla scorta di tali principi, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 28314 10.10.2023, ha respinto il ricorso di una lavoratrice, licenziata per superamento del periodo del comporto, che addebitava al datore di lavoro, un ospedale, la responsabilità della propria malattia, insorta a causa delle ripetute molestie subite da parte di un dirigente sul posto di lavoro.
L’accoglimento della domanda in primo grado, poi riformata dalla Corte d’Appello, si fondava infatti sugli esiti del procedimento penale a carico del presunto molestatore, condannato dal Tribunale per violenza ex art. 609 bis del codice penale ma mandato assolto in secondo grado.
L’istruttoria non ha consentito di accertare le condotte denunciate e quindi di ritenere sussistente il contegno omissivo dell’azienda con la conseguente responsabilità ex art. 2087 del codice civile.