Repêchage del lavoratore e valutazione delle capacità specifiche

Il cosiddetto obbligo di repêchage del lavoratore (che si potrebbe tradurre con “recupero” o “ripescaggio”) è un ormai consolidato  istituto di matrice giurisprudenziale. La figura assume rilevanza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, vale a dire il licenziamento determinato  “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604 “).

Per l’articolo 5 della stessa legge, che ancora oggi racchiude l’impianto delle norme per i licenziamenti individuali, spetta al datore di lavoro dimostrare la che ricorra una delle ragioni di cui all’art. 3: “L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro“.

È fortunatamente ormai superato un corollario di tale costrutto, per il quale il lavoratore, fermo restando l’onere della prova datoriale, dovrebbe quantomeno allegare l’esistenza, nel posto di lavoro, di posizioni disponibili e confacenti alle sue mansioni (anche inferiori).

Di contro, sta invece affermandosi un principio importante: il datore di lavoro deve compiere ogni valutazione idonea ad evitare il licenziamento, prendendo in considerazione anche mansioni inferiori rispetto a quelle ordinariamente ricoperte dal lavoratore “candidato” al licenziamento.

Laddove il datore di lavoro abbia poi proceduto, in un periodo prossimo al licenziamento, a nuove assunzioni, dovrà dimostrare che la risorsa non avrebbe potuto ricoprire le posizioni ricoperte dai dipendenti neo assunti.

In questi termini, con la sentenza n. 31561 del 13 novembre 2023, la Corte di Cassazione ha considerato illegittimo il licenziamento di una cassiera, stante la successiva assunzione di diversi nuovi profili con mansioni inferiori nell’esercizio in cui lavorava.

La Cassazione, in particolare valorizza, rispetto all’obbligo di repêchage del lavoratore, la nuova formulazione dell’ art. 2103 del codice civile, in cui è scomparso il parametro di giudizio dell’equivalenza, di modo che: “l’area delle mansioni esigibili dall”imprenditore nei confronti del lavoratore è delimitata per relationem dal livello di inquadramento individuato sulla base della disciplina collettiva applicabile, oltre che della categoria legale“.

Con la nuova previsione dell’art. 2103 c.c., secondo la Sentenza, “il livello di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva diventa lo strumento di determinazione della mobilità orizzontale, consentendo al datore di mutare le mansioni del dipendente perché riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento“.

Cassazione Civile Sezione Lavoro Sentenza n. 31561 del 13.11.2023