Smartworking: non sono dovuti i buoni pasto (Tribunale di Venezia, Decreto n. 1069 dell’8 luglio 2020)

Il GL, a scioglimento della riserva che precede, osserva:

F.M.F.P. CGIL di Venezia lamenta l’esclusione dal godimento dei buoni pasto dei lavoratori in lavoro agile senza previa contrattazione con le OO.SS., e ritenendo lese le prerogative sindacali, propone ricorso ex art. 28 l. n.300/78, chiedendo la condanna del Comune convenuto a porre fine al suddetto comportamento.

E’ pacifico che in virtù della legislazione di emergenza le Direzioni del Comune di Venezia, in stretta ottemperanza al dettato normativo, abbiano avviato il cd. smart working, prevedendo lo svolgimento della prestazione lavorativa dal domicilio del lavoratore. Come ricordato dalla stessa parte ricorrente, l’art. 87, comma 1, del d.l. 18 del 2020 ha stabilito che nelle pubbliche amministrazioni il lavoro agile, nel periodo emergenziale, è “la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa” ed anche in precedenza il DPCM dell’11 marzo 2020 aveva previsto che le pubbliche amministrazioni fossero tenute ad assicurare lo “svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi”. L’utilizzo del lavoro agile non è dunque il frutto di una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma è imposto dal legislatore quale modalità ordinaria e generale.

Il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto. Come infatti ancora ricordato dall’O.S. ricorrente il diritto ai buoni pasto in favore dei lavoratori degli enti locali è previsto al titolo VI del CCNL 14 settembre 2000, rubricato “Trattamento Economico”, e in particolare agli artt. 45 e 46 – richiamati all’art. 26 del CCNL di comparto, che ne subordinano la fruizione soltanto a determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione. Per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa (v. art. 45 CCNL di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio.

Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale.

Né a diversa soluzione può indurre l’art. 20 della legge n. 81 del 2017, che nel disciplinare il lavoro agile prevede che il lavoratore in smart working abbia diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. La S.C., in una nota pronuncia citata anche dal Comune convenuto, è intervenuta per definire la natura dei buoni pasto, sebbene in una diversa fattispecie di congedo parentale, escludendone la natura di elemento “normale” della retribuzione trattandosi di una “agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale” (v. Cass. 29.11.2019 n. 31137). Come ben spiegato dalla Corte, “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane dei lavoratore, al quale viene così consentita – laddove non sia previsto un servizio mensa – la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio […].

Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione, né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro. Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art. 20 Legge n. 81 del 2017.

A fronte di questa ricostruzione non può assumere valore dirimente il cd. argomento a contrario prospettato da parte ricorrente, che rileva come il Legislatore all’art. 87 del D.L. 18 del 2020 non abbia escluso la fruizione dei buoni pasto in favore di chi è sottoposto allo smart working, laddove per converso, proprio nello stesso articolo, quando disciplina al comma 3 la diversa fattispecie dell’esenzione dal servizio indica che, in tale ipotesi, “l’amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa”. Se ne dovrebbe dedurre – a detta della ricorrente – che ove il Legislatore abbia voluto escludere il pagamento dell’indennità sostitutiva di mensa, lo ha fatto espressamente. L’argomentazione non convince, perché dinnanzi alla prospettata incompatibilità, logica e giuridica, tra buoni pasto e lavoro agile, il silenzio del legislatore non è sufficiente per consentire una diversa ricostruzione.

In sostanza dunque i buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart working e di conseguenza la mancata corresponsione degli stessi non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali. D’altro canto è anche difficile ipotizzare quale potrebbe essere l’esito di tale confronto: se i buoni pasto non spettano, non possono essere erogati e l’atto del Comune con cui se ne sospende l’erogazione al lavoratore in smart working è sostanzialmente un atto “necessitato”. L’indicazione fornita dal Ministero della P.A. (circolare n. 2 del 2020, richiamata da parte ricorrente), secondo cui ciascuna amministrazione assume le determinazioni di competenza in materia “previo confronto sul punto con le O.O.S.S.”, non solo non è giuridicamente vincolante nella valutazione della legittimità del comportamento del Comune, ma è comunque priva di qualunque utilità, non potendosi neppure ipotizzare che si giunga a soluzioni differenti a seconda dell’esito del confronto sindacale.

Se non è necessario il confronto sindacale, men che meno è fondata la doglianza relativa alla mancata informativa, posto che non si è in presenza di un atto gestionale e discrezionale del datore di lavoro in materia di organizzazione degli uffici, ma dell’applicazione del dettato normativo, che impone di ritenere incompatibile la fruizione del buono pasto con il lavoro del dipendente svolto dal proprio domicilio.

Tanto è sufficiente per il rigetto del ricorso.

La particolarità e la novità delle questioni impone la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Spese compensate.